“Che la comunicazione in ogni società costituisca un sistema in cui ogni elemento dipende dagli altri che gli stanno a fianco, e forse perfino un organismo; e che dunque sia possibile parlare a questo proposito di un’ecologia, cioè di una rete di dipendenze reciproche in cui ogni elemento si definisce, si nutre e compete rispetto all’esistenza e alle attività degli altri suoi simili in maniera tale che un equilibrio di fondo regga la coesistenza di elementi diversi: questo è un pensiero diffuso anche se raramente esplicitato in chi si occupa di comunicazione”. (U.Volli)
Il Web ha imposto uno scenario nuovo al modo di comunicare delle persone: ci ha messi tutti assieme, tutti sullo stesso piano e i social network hanno fatto di più. Ora persone e comunità si trovano a confrontarsi su Facebook o su Twitter, su Instagram o su Snapchat, ma tutto attorno ci sono strutture, enti, sistemi e reti che viaggiano ad altre velocità e sulla base di altri paradigmi. Le dinamiche del Web non sono mai state realmente metabolizzate e quel che ne consegue sono attriti continui, stridenti, fastidiosi, rumorosi.
Ed ecco perché dovremmo seriamente pensare in modo più maturo al modo in cui ognuno di noi comunica. Non basta più puntare il dito sui social media: bisogna puntare il dito sulle persone.
Non possiamo affidare a Facebook la morte delle bufale così come non possiamo affidare alle discariche lo smaltimento dei rifiuti. Serve selezione capillare, gestione consapevole e smaltimento ragionato. L’introduzione della raccolta differenziata è ciò che ha dato il via ad un processo di razionalizzazione del ciclo dei rifiuti: così sia anche per le comunicazioni, ove molta della pulizia dovrebbe partire dai singoli.
Come evitare di creare rifiuti nel mondo delle comunicazioni? Regole semplici, per molti versi note ai più, ma troppo raramente applicate e applicabili alle masse:
• evitare le banalità: non arricchiscono la propria immagine e deturpano l’ambiente;
• ragionare le condivisioni: devono avere una utilità per gli altri, non per sé;
• evitare le bufale: sono gli agenti più inquinanti, avvelenano chi ne fa uso e rimetterle in circolazione è compartecipazione nella colpa, mentre verifica, studio e senso critico rappresentano valore per sé e per gli altri;
• creare qualità: cercare la qualità dei propri contenuti significa cercare qualità in sé stessi, donando al prossimo il meglio di sé; se non c’è impegno non c’è valore, quindi il dono perde di significato e diventa mera inutilità.
Stiamo inquinando l’ecosistema nel quale viviamo la nostra dimensione immateriale.
Difficile capire chi possa avere l’autorità morale per inculcare atteggiamenti più “ecologici” nel mondo delle comunicazioni, ma le sanzioni delle comunità possono far molto. Agire per le comunità invece che per sé stessi significa anche questo: sanzionare comportamenti inquinanti, evitando like e condivisioni per costringere all’oblìo. L’ecologia delle comunicazioni online non può nascere dall’oggi al domani, né può essere imposta. Fa parte però di una accezione più generale di “consapevolezza” che sugli altri media è stata sempre maturata (con i suoi modi, con i suoi tempi): righe e margini sul quaderno, il volume della televisione, la cura del vinile e altri comportamenti virtuosi sono tasselli di un ordine generale a cui presto o tardi dovrà avvicinarsi anche il Web.
L’Ecologia è per definizione lo «studio delle interrelazioni che intercorrono fra gli organismi e l’ambiente che li ospita: non avrebbe senso non applicare medesima asserzione anche nel mondo dell’immateriale, laddove organismi e ambiente si esplicano nel virtuale pur con sostanziali e concrete ricadute nel mondo materiale. Una raccolta differenziata dei post sui social media eviterebbe l’impatto ambientale che avvertiamo in questi giorni, nei quali si vorrebbe pensare ai social network come un sistema di informazione ideale per gestire la crisi post-sisma e invece ci si trova a dribblare polemiche, bufale, giudizi affrettati, analisi disinformate, complottismi e altro ancora.
Gettare rifiuti per la strada è punito dalla legge. Non possiamo trattare i social network alla stregua delle discariche. Né imputare ai social network tutte le colpe. Siamo noi a riempire le discariche, sempre e comunque. Capiamolo, tutti, insieme.