Dimmi cosa c’è sul tuo smartphone e ti dirò chi sei. No, stavolta non si tratta delle applicazioni installate o del sistema operativo preferito. Ma proprio di ciò che rimane attaccato all’oggetto telefono: tracce di sostanze chimiche, molecole e microbi che traghettiamo sull’inseparabile protesi quotidiana come su ogni altro oggetto su cui mettiamo le mani.
Per certi versi più che su ogni altro se è vero, come diversi studi hanno testimoniato fra 2012 e 2014 – per esempio quelli della britannica università del Surrey o della statunitense dell’Arizona – che il telefono può essere più sporco di un gabinetto.
Ora un nuovo studio, a metà fra l’immaginario di serie tv come Ncis, Csi e Black Mirror e le analisi forensi già in uso, fa un altro passo in avanti. Tracciando un vero e proprio identikit degli utenti sulla base dei residui depositati sui loro telefonini.
La ricerca, firmata dalle università della California, sede di San Diego, ha (letteralmente) messo sotto la lente gli smartphone di 39 volontari. Ciascun dispositivo è stato campionato in quattro aree specifiche. Anche la mano destra di ogni persona coinvolta nell’indagine è stata posta sotto osservazione in otto punti specifici per un totale di quasi 500 campioni raccolti.
Poi, grazie alla spettrometria di massa quei tamponi sono stati analizzati per rilevarne le molecole presenti, identificate tramite il ricorso a un ricco database compilato in occasione di precedenti e simili approfondimenti.