Ddl contro le fake news, è l’ora delle critiche. Saetta: “Un attacco alla libertà di espressione”

182211554-1505c047-842f-40ac-8425-fc1e00d5e891“Un attacco alla libertà di espressione come diritto fondamentale dei cittadini”, così Bruno Saetta, avvocato e blogger che da anni si occupa di diritto applicato alle nuove tecnologie commenta la proposta di legge contro la diffusione di notizie false presentata ieri in Senato. Un’iniziativa che ha sollevato tantissime polemiche “Imbarazzante”, twitta Philip Di Salvo, giornalista e ricercatore.

E ancora: “Prossimo step, istituiamo il ‘ministero della Verità'” (Paolo Montesel); “C’è bisogno di dire che il ddl Gambaro è una boiata galattica?” (Luca Alagna), “Il ddl #Gambaro è la peggiore idiozia liberticida mai concepita da “mente” umana. Persino troppo per pensare sia fatto in buona fede” (Stefano Epifani).

Adele Gambaro (Ala-Sc), prima firmataria del ddl, replica agli attacchi: “Censura, bavaglio, libertà di espressione in pericolo e chi più ne ha più ne metta. Attacchi strumentali o semplicemente ignoranza. Solo chi è in cattiva fede o non ha approfondito la lettura del mio ddl può ritenerlo un provvedimento liberticida”.

Saetta, come definisce la proposta Gambaro?
“È retrograda, inadatta tecnicamente, culturalmente e giuridicamente. Un attacco alla libertà di espressione come diritto fondamentale dei cittadini. Infatti, mira palesemente a creare una netta separazione tra l’informazione professionale, quella dei giornali e della televisione. E la ‘diffusione di informazioni’ online, che così viene a essere considerata un’attività pericolosa, quindi da monitorare costantemente e reprimere”.

Il carcere previsto per chi si rende “responsabile di campagne d’odio”. Non le sembra eccessivo?
“Disegnare una risposta esclusivamente criminale, con pena della reclusione, non solo è eccessivo. Ma addirittura deleterio. Ci sono ricerche che mostrano come alcune campagne d’odio sono solo la conseguenza dei malesseri sociali a cui lo Stato non offre alcuna risposta.

Inoltre, uno studio del 2013 in Kenya (il progetto UMATI) ha dimostrato che non sempre l’odio online si traduce in violenza reale, quindi occorre innanzitutto definire meglio cosa è una campagna d’odio, e stabilire risposte proporzionate alle varie situazioni. È un problema complesso, non esiste una soluzione semplice”.

Qual è l’aspetto più pericoloso della proposta, a suo avviso?
“Emerge una palese mancanza di comprensione del funzionamento della Rete. E delle problematiche da cui nascono ‘campagne d’odio’ e ‘fake news’.

Utilizzare un unico strumento, repressivo, per una serie di problemi completamente differenti (hate speech, fake news, cyberbullismo) è di per sé indicativo”.

Tante le critiche a questo ddl. C’è, almeno, una nota positiva?
“Si, che così come è il ddl, con norme in contrasto con la Costituzione e la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, è palese che non passerà mai. Non credo che farà molta strada in Parlamento”.

È possibile disciplinare una materia così complessa come la diffusione di notizie false?
“Innanzitutto, c’è bisogno di una adeguata comprensione del problema e di uno studio delle motivazioni alla base della diffusione delle fake news. Ad esempio, le notizie false oggi sono in aumento a causa del modello sul quale si basano i mezzi di comunicazione, cioè quello pubblicitario, che si occupa di convincere la gente a cliccare per visualizzare i contenuti.

Una notizia falsa può risultare più accattivante e ‘acchiappa clic’. Le fake news sono, quindi, più redditizie. Anche i giornali abbelliscono molte notizie. E persino la politica fa ampio uso di fake news, per giustificare censura, guerre, e sorveglianza di massa. È difficile regolamentare una materia così vasta.

Occorre distinguere le varie ipotesi e intervenire, se necessario, separatamente. Comunque, come dicono gli americani,’remedy for bad speech is more speech, not silence'”.

Rete e norme: come giudica i tentativi italiani fatti fino ad oggi per disciplinare internet? E quanto si presta la Rete a essere regolata?
“Internet può essere regolamentata come qualsiasi altra attività umana. Il problema è che una pessima regolamentazione può distruggere tutto ciò che di positivo porta la Rete: la capacità di diminuire le distanze tra i popoli, ridurre le contese e le guerre, la capacità di portare alle persone più conoscenza e informazioni.

Purtroppo molti tentativi di regolamentazione, non solo italiani, hanno l’unico scopo di ingabbiare la Rete al fine di poter controllare il fluire delle informazioni e impedire voci dissidenti”.