‘Strutturati’, ‘polarizzati’, ‘segregati’ e ‘chiusi in una camera a eco’. Ecco chi sarebbero i fruitori di notizie nell’epoca dei social, secondo la ricerca di Pnas.
“Più un utente è attivo più tende a focalizzarsi su un numero limitato di fonti di informazione” spiega ancora l’articolo, riferendosi ai fruitori di Facebook che più amano commentare gli articoli giornalistici, cliccare su ‘mi piace’ e condividerli con gli amici.
C’è un mondo di notizie attorno a noi. Eppure leggiamo sempre le stesse: quelle che confermano le opinioni che abbiamo già. “L’architettura del nostro modo di fruire l’informazione risulta distrutta rispetto a come la conoscevamo dieci anni fa.
E oggi assomiglia a una camera a eco, in cui ognuno cerca solo di consolidare le proprie idee” spiega Walter Quattrociocchi (nell’immagine a lato), giovane ricercatore della Scuola di Alti Studi di Lucca, esperto di circolazione dell’informazione online, coordinatore di una ricerca appena pubblicata sulla rivista Pnas.
La ricerca
Con i colleghi dell’Istituto di Alti Studi di Pavia e del dipartimento di fisica della Boston University, Quattrociocchi ha analizzato per sei anni gli articoli di 920 testate giornalistiche in lingua inglese raccolte nel database dell’European Media Monitor, diffuse su Facebook e lette, cliccate o commentate da 376 milioni di utenti di Facebook. “Altro che apertura mentale, internet ci ha portato a raggrupparci in comunità omogenee” sintetizza.
Il 63% dell’informazione giornalistica oggi viene distribuita attraverso Facebook e altri social network. “E il modo in cui vengono condivise – spiega il ricercatore, che a Lucca lavora nel Laboratorio di scienze sociali computazionali – assomiglia molto al modo in cui condividiamo il video di un gattino o quello di un selfie. Si segue un criterio emozionale. Quello delle notizie è diventato un supermercato”.
Gli utenti di Facebook, è la conclusione dell’analisi dei ricercatori italiani, “tendono a focalizzarsi su un numero di pagine limitato, creando una struttura simile a quella di una comunità segregata” si legge nel testo. La diffusione delle fake news, in questo contesto, è la conseguenza e non la causa del problema.
“La circolazione di informazioni false è normale, quando gli utenti si fissano sulle loro narrazioni e sulle loro versioni dei fatti”conclude Quattrociocchi. “Con queste premesse, risolvere il problema con il fact checking è solo un’illusione”.
Anche spostare l’attenzione sugli algoritmi di social e motori di ricerca è, secondo gli autori dello studio, fuorviante. “Il problema secondo noi non è di Internet. E’ della nostra testa” conferma il ricercatore di Lucca, che pensa di coinvolgere nei suoi futuri studi anche degli psicologi.
“E le distorsioni dell’informazione non hanno origine tanto nei giornali, quanto nelle scelte che vengono fatte dalle masse di lettori”.